L’ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE NEL DIRITTO BANCARIO
In un contratto di conto corrente bancario la banca si obbliga ad annotare, per conto del cliente, tutti i movimenti in entrata e in uscita dal conto stesso.
Normalmente si tratta di movimenti nei confronti di terzi (assegni, bonifici, ecc…). La banca è in pratica il contabile del cliente nella tenuta del conto che può costituire fonte di prova documentale dei rapporti che il cliente intrattiene con terze persone.
Altre volte la banca stessa addebita (es. interessi passivi) o accredita (interessi attivi) somme rispettivamente a debito o a favore del cliente. In pratica la banca, in via unilaterale, movimenta il conto corrente che essa stessa ha l’incarico di tenere e annota sullo stesso le poste attive o passive.
Per quanto riguarda gli addebiti questi possono essere effettuati solo se corrispondono alle condizioni economiche pattuite nel rispetto dell’art. 117 TUB (forma scritta ad substantiam) e se non siano frutto di clausole viziate da nullità (es. ex art. 1418/1 cc in caso di interessi usurari).
Qualora la banca non rispetti queste regole e addebiti sul conto corrente somme che non erano dovute (o perché non pattuite correttamente o perché frutto di pattuizioni nulle), si genere a carico del cliente un debito che non doveva essere costituto e che modifica il saldo del conto.
Questo debito viene pagato direttamente dalla banca utilizzando le rimesse affluite sul conto successivamente che appunto hanno il compito di modificare il saldo a favore del cliente, saldo che però risente dei precedenti addebiti di somme non dovute.
A quel punto nasce il diritto del cliente di ottenere da banca la restituzione delle somme versate e utilizzate dalla banca per saldare gli addebiti ritenuti illegittimi e che quindi non erano dovuti, diritto che viene tutelato con l’azione di ripetizione di indebito ex art. 2033 cc.
Il diritto alla ripetizione ex art. 2033 cc, come ogni altro diritto, è soggetto alla prescrizione, Da qui derivano una serie di questioni.
La prima è quale sia il termine di prescrizione applicabile. Il problema è stato risolto nel senso che questo diritto è soggetto al termine ordinario di prescrizione decennale previsto in via generale dall’art. 2946 cc (Cass. Sez. VI, 26.1.2018 n. 2026).
La seconda è da quando il decennio di prescrizione decorra. Qui, secondo la giurisprudenza maggioritaria, si fa la seguente distinzione (Cass. Sez. Un., 2.12.2010 n. 24418):
– se il versamento ha carattere solutorio, cioè è utilizzato per pagare un debito certo, liquido ed esigibile (un rientro nel fido o un pagamento su un conto scoperto e non affidato), il termine di prescrizione decorre dalla data di annotazione in conto;
– se il versamento ha carattere rispristinatorio della provvista (un versamento nel fido) non avendo estinto un debito esigibile, la prescrizione decorre dalla data di chiusura del rapporto (Cass. Sez. I, 24.5.2016 n. 10713; Cass. Sez. I, 7.2.2017 n. 3190). Con la precisazione che ogni versamento si presume ripristinatorio salva la prova contraria della sua natura solutoria, che deve dare la banca che eccepisca la prescrizione (Cass. Sez. I, 26.2.2014 n. 4518;
La terza questione è come la banca deve sollevare l’eccezione di prescrizione. Qui si ha un vero e proprio contrasto all’interno della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione.
Per una parte della giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. VI, 7.9.2017 n. 20933) successivamente ribadita da altra sentenza (Cass. Sez. I, 30.11.2017 n. 28819) ritiene che:
– solo l’esecuzione di pagamenti sono ritenuti rimesse solutorie;
– non spetta al cliente allegare l’effettuazione di tali pagamenti e cioè allegare la natura solutoria delle rimesse trattandosi di fatti negativi (il carattere di debenza del debito verso la banca del saldo del conto corrente perché oltre il fido o in assenza di fido);
– spetta invece alla banca, che eccepisca la prescrizione, l’onere di allegare e di dimostrare il carattere solutorio delle singole rimesse;
– non è infatti sufficiente allegare, da parte della banca, la mera inerzia del titolare del diritto che non ha fatto valere alcuna contestazione entro il decennio di prescrizione della rimessa.
Un’altra parte della giurisprudenza invece ritiene che:
– l’eccezione, specialmente di fronte a una domanda generica, possa essere sollevata in modo altrettanto generico per il rispetto del principio del contraddittorio ex art. 111 Costituzione e il giudice possa demandare a un CTU l’accertamento del carattere solutorio o ripristinatorio delle rimesse (Cass. Sez. VI, 30.1.2017 n. 2308);
– la banca che sollevi l’eccezione di prescrizione con cui eccepisca il carattere solutorio di tutte le rimesse effettuate dal cliente non deve indicare quali siano le singole rimesse solutorie ma spetta al giudice di merito, con la CTU, individuarle posto che ha a sua dispozione gli estratti – conto (Cass. Sez. VI, 26.7.2017 n. 18581; Cass. Sez. VI, 22.2.2018 n. 4372).
E’ sorto così un contrasto di giurisprudenza all’interno della sesta sezione della Cassazione e la questione sarà rimessa verosimilmente alle Sezioni Unite.
Va segnalato un contrasto all’interno della Corte di Cassazione sulle modalità con cui la banca convenuta, in una causa contro un cliente che chieda la sua condanna alla ripetizione ex art. 2033 cc delle rimesse sul conto corrente utilizzate dalla prima per pagare addebiti non dovuti dal secondo, debba sollevare l’eccezione di prescrizione delle rimesse medesime.
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Articolo su eccezione di prescrizione – Avv. Nannelli